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Nun me lassà
Napoli sembra essere la città in cui gli uomini hanno imparato a fare un cerchio perfetto a mani
nude e lo hanno chiamato abbraccio. Questa città ha il dono di trasformare ogni suo spazio in
una stretta. Quando ti ci avvicini dal mare, ti ritrovi il Golfo che ti accoglie con il suo abbraccio.
Una volta sbarcato, è Piazza del Plebiscito a buttarti le sue braccia al collo. Nun me lassà è un
racconto di braccia che si allungano fino a noi e ci stringono per non lasciarci partire.
C’è il Golfo, come tratto distintivo, la firma di Marco Delle Donne. I palazzi che scendono dal
promontorio verso il mare, sembrano una distesa complessa di tasti di pianoforte, alternati a
canne di siku, come corredi di un insolito strumento. Devono essere mani di Dei quelle che
solleticano quest’intreccio di corde e cilindri di cemento. Qui il respiro del mare e quello della
città si fondono in un unico battito. E’ questo il battito che viene insegnato ai figli fin da piccoli,
perché possano usarlo come un faro musicale e sapere sempre da che parte scrutare l’orizzonte
in direzione di casa.
In basso, al centro della tela, ci sono due strade di cemento che poco più avanti si uniscono in
una sola e corrono lungo il perimetro del Golfo, in direzione di un Vesuvio che ha la forma della
culla della luna. Ma se percorriamo questa strada al contrario, il Vulcano sembra essere la culla
di ogni partenopeo che abbia dovuto lasciare Napoli per cercare altrove maggiore fortuna. Il
Vesuvio resta lì, come il padre che scruta la città mentre i figli fanno tardi la sera.
Ma c’è anche la madre, la vediamo lì, a destra della scena. Proprio in questo istante sta
abbracciando un figlio che è venuto a salutarla prima di partire. Con le sue azzurre mani gli
cinge il collo e dice anche a lui ciò che da sempre ripete a tutti i suoi figli: “Nun me lassà!”
Non si disperi la madre e di questo stia certo anche il padre: non c’è figlio loro che parta per
davvero. Tutti sono via e presenti contemporaneamente. Ognuno è una goccia di quella fonte che
spande di parlar si largo fiume, e che, con il pensiero sempre fa ritorno, sognando il giorno in cui
sfocerà dentro alle acque del Golfo materno.