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Con questa serie intitolata La Casa del Sole il maestro Antonio Balbi celebra un antico credo, una religione che ha i suoi devoti in una terra a nord del mondo, dove i lapponi immaginano il loro Dio che soggiorna dentro a una costruzione del tutto simile a quelle umane.

Per il maestro di Roccagloriosa, dunque, una casa non è sempre una questione di mattoni. Non sempre si erge con le fondamenta che si aggrappano alla terra come radici d’albero. Non sempre è fatta di pietre e calcestruzzo, con la livella e la cazzuola ad adagiare una fila di laterizi sopra l’altra perché la parete cresca robusta fino a quando non viene ancorato il tetto. Esiste anche un’altra casa che si erge in cielo e che è la dimora della più antica e venerata tra le divinità. Un edificio dalle spaziose stanze, dall’architettura tanto semplice che pare essere stata progettata da un bambino, dove lo spettacolo non lo si vede guardando fuori dalle finestre, ma cercando d'internarvi lo sguardo per scoprire chi ne sia il condomino.

Nell’opera del Balbi il sole è davvero divino. Lo è perché di lui si coglie quel che altrove non viene detto. Qui siamo oltre le parole con cui Pablo Picasso insegnava al mondo in cosa consista l’arte. Siamo più in là, ma per certo, queste tele hanno fatto tesoro di quell’idea per cui “ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole”.

Il Dio Sole inonda queste tele del Balbi, vi si immerge e vi sguazza fino a lasciare la sua impronta tra le trame di questi lavori. Ma qual è l’impronta della nostra stella? Qual è l’orma che al suo passaggio anima il nostro mondo? Se “il cielo è quella vasta pergamena sulla quale il Sole scrive il suo diario”, allora i colori sono l’inchiostro che filtra dal firmamento perché le infinite mani della nostra stella possano disegnare un’opera d’arte grande quanto il modo.

Questa produzione del maestro di Roccagloriosa è un tributo alla luce e al colore. Una serie di fontane di acrilico s’incrociano dentro alla tela, disegnano corridoi profondi che si rincorrono l’un l’altro per tutta la composizione, con la leggerezza di un gioco. Questo aspetto giocoso, quasi divertito, con qui il Balbi rende omaggio alla divinità, è un elemento centrale di questa produzione.

Il balbismo fa spesso del gioco una componente primaria del suo agire. Non perché il risultato finale debba essere divertente o spensierato, bensì perché attraverso il gioco si ritorna in quella fase in cui l’intuizione è la migliore consigliera. Non servono grandi parole o erudite orazioni per descrivere ciò che non capiamo. Occorre solo liberare quella parte di noi che si è rifiutata di crescere, perché possa scorrazzare senza pensieri, raccontandoci infine quel che c’è in quello spazio che si distende molto dopo che le parole si sono arrese e l’universo ci si para davanti come un posto buio e freddo.

Dentro alla sua casa la nostra stella si ritira e dimora come facciamo noi dentro alle nostre abitazioni. E’ un Sole riservato, che ama il gioco ma che non disdegna ritirarsi tra le sue stanze. E’ una creatura di luce che si circonda di pareti, di luce anch’esse, perché il perimetro lo protegga senza oscurarlo. Nella sua Casa del Sole il maestro Balbi con una sola linea segna il contorno dell’abitazione. Non mattoni o inferriate, niente blocchi o ammassi, solo una linea sottile che scava dentro al colore rappresentando come miraggio la dimora della nostra stella.

L’architettura di questa costruzione ricorda il disegno di un bambino. Una casetta stilizzata, come quelle che decorano i corridoi di un asilo nido mostrandosi tra i rettangoli di carta colorata con cui i più piccoli hanno lavorato. Linee morbide che scavano tra il colore, tra gli schizzi lasciati dallo sguazzare giocoso del Sole.

L’immediatezza nella rappresentazione, l’assenza di un disegno preliminare, con i colori che sembrano direttamente stesi sulla tela e che fanno sorgere piccole onde create dalle impronte dei pennelli, tanto che la superficie della tela si fa simile all’incresparsi dell’acqua, richiamano per certo la maniera degli impressionisti.

Dentro a queste tele risalta un altro aspetto che ricorre nei lavori del maestro di Roccagloriosa: quel desiderio d’incamminarsi con l’osservatore, di accennare senza mai esaurire quel che abitualmente non si mostra. Un procedimento maieutico sembra evidente anche in questa serie. Il Balbi sembra suggerirci che se è vero che il Sole non mostra mai il suo profilo, non per questo non esiste. Lo vederemo solo quando saremo accolti dentro alla Casa del Sole.

Giovanni Rodini