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Marco Delle Donne è nato a Napoli il 5 maggio del 1987. E con queste poche note anagrafiche
finisce la parte normale della storia. Quel che segue è un vissuto intenso, anomalo per
circostanze e accadimenti che sembrano irrilevanti, ma che irrilevanti non sono.
I genitori, giovanissimi, lo accolgono al mondo e glielo consegnano quasi fosse un parente. E il
mondo, da quelle parti, ha la forma del Golfo di Napoli ed è un insieme “di tribù che anziché
vivere nel deserto o nella savana, vivono nel ventre di una città di mare”.
I primi sette anni trascorrono a Volla, ammassati nelle palazzine rosse. Là si è lontani dal
centro, ma molto vicini alla strada e alla sua scuola. A gli occhi del bambino gli edifici sono
scatoloni incastrati a forza dentro agli angoli più lontani di una cantina dimenticata, dove non
si conserva nulla che un giorno potrà ancora servire. Più che di cose vecchie, quel ripostiglio di
cemento armato si gonfia d’immondizia. Rifiuti sociali, persone emarginate e marchiate, stipate
in putridi e decadenti contenitori che qualcuno si ostina a chiamare case. E’ un tugurio abitato
da famiglie numerose e rumorose. Qui le speranze e i sogni vengono lasciate a marcire a poco a
poco, mentre ogni cosa è coperta da una muffa fatta di delinquenza da strada e criminalità
organizzata che senza sosta si espande nutrendosi di tutto quel che trova. Monnezza le cose,
monnezza le persone, bidoni della spazzature quelle palazzine e discarica tutto quello spazio di
cemento che cresce selvaggio e, minaccioso, s’ingoia ogni cosa.
Qui a Volla, il bambino gioca per strada fino a tardi e cresce tra un’umanità che, a dispetto del
paesaggio, si rivela piena di vita e di una speciale dignità e fantasia nel portare avanti i giorni
tra quelle rovine che gli saranno maestre. Essere figlio delle palazzine sarà una forza, prima
ancora che un vanto. Lo sarà perché in lui si fa ruscello un rio che gli suggerisce di trasformare
il degrado in un gioco, di riprodurre quel che vede, di riproporre quel mondo per come lo
“sentono” i suoi occhi.
In un pezzo d’Italia in cui tutti parlano napoletano, il piccolo Delle Donne parla solo italiano. La
lingua patria gli è imposta dai genitori e crea in lui una lieve distanza tra i suoi occhi e il mondo
che lo circonda. Ma questa circostanza è una fortuna, perché si rivela la distanza necessaria per
potere osservare, e a tratti comprendere quel mondo sgarrupato, senza finire per perderne i
dettagli, come coloro che vi ci vivono troppo vicini. Poi, col tempo, inizia anche a lui a parlare
in napoletano, scoprendo la ricchezza di un dialetto che ha la statura di una lingua e che, come
un idioma per iniziati, inventa parole intraducibili con le quali si riesce a raccontare un mondo
che altrove non esiste, perché non esistono parole per raccontarlo.
La fantasia è un altro linguaggio che si radica in lui già da quegli anni. Un alfabeto fatto di
colori, suoni, forme, sapori che chiede di essere recitato ad alta voce. Un ulteriore linguaggio
che non si può ignorare, che non si riesce a rendere muto. La fantasia è una forza interna che lo
spinge a creare storie, situazioni, forme e spazi nuovi. La ricerca di un linguaggio espressivo
che gli permetta di avvicinarsi tanto alle cose da poterle riflettere è un obiettivo che Delle
Donne ancora insegue. Ma le prime battute di caccia, con matite, pennarelli, pongo e Lego, sono
iniziate allora, quando non sapeva che quel rincorrere le idee sarebbe divenuta la passione
della sua vita.
A sette anni il mondo cambia aspetto e assume le forme eleganti della città di Parma, dove la
famiglia Delle Donne si trasferisce. Nella città emiliana, prendono casa nella centralissima via
Montassù e il nuovo lavoro del padre offre la parvenza di un benessere che promette rivalsa.
Ma le speranze s’intorpidiscono molto presto e incomprensioni di coppia portano alla
separazione dei genitori. La rottura tra i genitori equivale alla rottura della volta celeste. Il
mondo si crepa e sotto ai suoi piedi si apre una breccia che rischia di ingoiare ogni cosa. Quello
che non poté il cemento del Volla, si fa minaccia con la chiusura dei rapporti tra i suoi genitori.
Ecco ingoiata la serenità famigliare, quell’insieme di quotidianità mischiata a meraviglia dentro
a cui crescono i più fortunati. Ecco relegate in archivio tutte le serate passate sul divano col
padre che imbracciava la chitarra per porgere alla voce della madre le note delle canzoni di
Pino Daniele, le passeggiate e i giochi a perdifiato all’aperto.
Le cose, di lì a poco, peggiorano ancora. Per far fronte al nuovo assetto famigliare e agli
scombussolamenti economici che ne conseguono, con un dolore che rischia di soffocare ogni

cosa, la madre decide di rimandare nel ventre umido delle palazzine il giovane figlio. Marco si
ritrova allora nuovamente dentro ai cassonetti da cui i suoi genitori volevano scappare e viene
accolto dai nonni e i loro cinque figli.
Sono anni difficili, dove il dolore si mischia alle giornate con tanta foga che non ne passa una
che non ne sia intrisa. La crepa che si era aperta nel suo mondo si allarga tanto da allontanarlo
di 800 km da sua madre.
La continua ricerca di un linguaggio espressivo per raccontare la sua versione delle cose, trova
allora come alleata la scrittura. Le parole iniziano a riempire i fogli; alcune destinate alla
lettura, altre al canto, altre, forse oggi perdute, destinate a essere solo sussurrate.
Nel 1998, all’età di 45 anni, viene meno la nonna che lo aveva accolto al Volla e lascia soli
cinque figli, di cui quattro minorenni, oltre al giovane Marco. Sua madre si vede allora costretta
a far ritorno a casa. In quegli anni il suo lavoro si trasforma nell’unica fonte di entrata e
sostentamento di una famiglia allargata a cui si aggiungono la compagna di uno dei cinque zii e
il loro piccolo figlio.
Marco Delle Donne vive nel microcosmo delle palazzine fino all’età di 14 anni. Successivamente
la madre incontra il suo attuale compagno e insieme a lei e alle sue due sorelle più piccole, tutti
si trasferiscono nell’abitazione dell’uomo. Lui si rivela essere una persona speciale, una figura
paterna generosa che rende più soave questa parte di vita. Delle Donne inizia allora a scrivere
canzoni hip hop, che in quel momento, insieme al rap, lo accompagnano per un nuovo tratto di
strada, sempre alla ricerca del linguaggio migliore per raccontarsi agli altri.
Di lì a poco suo padre, ancora innamorato di sua madre, tenta il suicidio. Resta in coma per
sette giorni, prima di rinvenire. E’ un momento di profonda angoscia e tormento. I tempi bui
non sembrano essere finiti. La musica, fatta di testi rancorosi, a tratti rabbiosi, si presta a
essere il suo megafono, lo strumento di un creativo per sputare via il veleno che tutta la
vicenda del ricovero del padre gli aveva iniettato in corpo. Quel percorso conosce risultati
importanti e non mancano case discografiche interessate al suo lavoro.
Ma ben presto la strada del rapper finisce il suo viaggio e, al liceo, Delle Donne scopre il teatro.
E’ un’esperienza nuova, un linguaggio che sembra capace di tirare fuori tutto quello che si può
dire; un’arte che ha come strumento tutto il corpo e la voce, dove si interpretano le vite degli
altri per raccontare le proprie. Dopo il liceo studia arte drammatica, ma nell’arco di due anni si
rende conto che il teatro non è più capace di raccontarlo come lui vorrebbe.
A 21 anni accade qualcosa. Un giorno, che pareva la copia del precedente, Delle Donne compra
acquarelli e fogli bianchi, come si compra un nuovo paio d'occhiali per un pomeriggio di sole.
Senza grandi pretese, inizia a dipingere tutti i giorni, trovando tra i colori e le forme tracciate
sui fogli, quello che realmente stava cercando.
Dagli acquarelli passa presto all’acrilico dando vita a colori forti e decisi, senza alcuna
sfumatura, quasi la sua rabbia fosse troppo grande per la delicatezza del materiale con cui
aveva iniziato e ci volessero giganti per poterla raccontare. Prendono allora forma i Vesuvi
animati che ancora caratterizzano una parte importante della sua produzione.
Insieme all’amico e pittore Antonio Picardi, Delle Donne inizia a organizzare diversi eventi
artistici che possano rendere note le loro opere. Brevemente iniziano ad arrivare le prime
commissioni e, dalle vendite che ne conseguono, nascono nuove idee e sembrava che la strada
abbozzata sia capace di condurli molto lontano.
Sono gli anni in cui scopre i lavori di Haring e sente sua l’esperienza di pittori come Van Gogh e
Picasso, Pollock e Basquiat.
Ma i problemi economici rendono necessario un altro trasferimento. Questa volta la famiglia si
sposta in terra di Abruzzo, una regione dove Delle Donne non conosce nessuno e che ben si
presta per un’intensa attività di pittura. Si passa in quest’epoca alla pittura ad olio, ricercando
una corposità e densità che sia in grado di rendere più vivi i colori. Questa fase abruzzese si
interrompe dopo pochi anni. Nonostante alcune esposizioni ottengono buoni riscontri, Marco
inizia a pensare di lasciare l’Italia.

Il primo tentativo è Londra, dove resta per sette mesi. Qualche esposizione e poi un rientro in
Abruzzo, ma sempre con l’idea di cercare la sua strada all’estero. Ma quelle sue prime
esperienze di vita all’estero lasciano il segno. Molti lavori vengono venduti all’estero. A Parigi e
a Melbourne vengono acquistati alcune sue tele. Nel 2015, Confusion, All’improvviso e Tra il
Bene e il Male, trovano acquirenti a Londra.
Dopo due anni di vita in Abruzzo, la città in cui si trasferisce è Francoforte. Nella città tedesca
le cose prendono una piega più matura. Delle Donne inizia a organizzare eventi di
contaminazione tra musica live, recitazione, body painting e pittura. Si tratta di estemporanee
dove si esibisce in locali frequentati da altri pittori o amanti dell’arte. A scadenza mensile si
creano serate dove chiunque può entrare e disegnare seguendo un tema fornito dall’artista.
Sono i giorni in cui l’artista si mostra in azione, dove la meccanica che trasforma un’idea in arte
viene svelata al pubblico; sono i giorni in cui partecipazione e condivisione sono tanto
importanti quanto creatività e azione. Questi sono i giorni della sua esperienza francofortese e
questi giorni durano ancora.

Giovanni Rodini